Ho scritto un racconto rosa sul blocco dello scrittore. Ti è mai capitato di sederti davanti alla pagina bianca o all’interfaccia di un programma di scrittura e non riuscire a scrivere un bel niente? Avevi un milione di idee fino a un attimo primo, ma puff, sono sparite. L’incipit ti abbandona, la battuta se la svigna, quella descrizione tanto vivida diventa sciapa come un caffè annacquato.
Che cosa fare allora?
Vai a farti tagliare i capelli, direbbe la mia parrucchiera. Leggi ora la sua storia.
Pompeo e Saretta
Mettiti lì. Non muoverti.
Ma come?
Aspetta. Muovi solo le mani.
E l’idea?
La prima che ti viene.
Non viene.
Vacci tu.
Dove?
Hai iniziato?
No …
E allora sbrigati.
Mi dovevi spiegare come scrivere un racconto …
Te l’ho già detto, stai lì, non muoverti e acciuffa un’idea.
Ma se non mi muovo, che cosa vuoi che acciuffi, testa pelata?
Un’idea fa ciuff ciuff come un treno o come un ciufolo. Ti concedo di attorcigliare il ciuffo che ti cade sulla fronte.
No, no, mi si scompiglia l’acconciatura e poi penso alla parrucchiera.
Le idee hanno nobili origini tricologiche.
Tu mi sfotti e non sai niente di come si scrive.
Che cosa mi dici della parrucchiera?
Non scrivo un racconto su una parrucchiera, non so niente di doppie punte.
Ma vai da quella di Via della Riga Storta 77?
Sì, proprio all’angolo con Vicolo della Piazzetta, dove c’è un terrazzino al piano rialzato tutto fiorito, con la ringhiera di ferro battuto e vasi di argilla e di stagno ricolmi di corolle sfacciate e timide foglioline. Le scalda il sole al mattino, le culla l’ombra dopo mezzogiorno. Là begonie e azalee cantano da mane a sera, mentre tulipani e narcisi acchiappano clienti.
I narcisi, che hanno iridi bianche e pupille dorate, ammiccano tal quali spasimanti.
I tulipani, come ti vedono, raccontano storielle che fan pendant con la tua giacca.
Alcuni sono blu, screziati di indaco, altri gialli, all’aroma di canarino.
Qualcuno è rosso gusto paprika, i più giovani si mostrano rosa, d’indole sognatrice,
Accanto al terrazzino, il muro di mattoni incornicia una piccola porta di legno intarsiato, perché la parrucchiera è piccina e in paese tutti la chiamano Saretta. Prima di arrabattarsi tra forbici spazzole e pettini, ogni mattina rassetta le fioriere, toglie foglie e rametti secchi, libera fronde intrecciate e disseta le piantine con acqua fresca.
Ha sempre un bel daffare, tra teste e chiome, zucche e zazzere, tonde, allungate, cubiche, o poliedri irregolari che buttano fuori capelli come getti di fontane gotiche.
Su ciascuna, Saretta scolpisce l’armonia giusta, con le note che sente non appena la vede. Così, da anni, fa la parrucchiera felice.
A chi vuoi che interessi di una parrucchiera felice?
Lasciami parlare, abbi pazienza.
Un giorno, dal balcone, le arriva un uomo, di nome Pompilio Numa, o forse Pompeo. Per raggiungere il negozio passa tra le azalee e le begonie che gorgheggiano, e non dalla porticina, perché è alto e grande.
Saretta non fa in tempo a farlo accomodare al lavatesta, che già pensa a quando Pompeo il gigante potrebbe ritornare.
Allora gli accorcia i capelli solo un poco, ma splendidamente, in modo che presto si ripresenti da lei.
Detto fatto, la settimana dopo il grand’uomo la va ancora a trovare, e stavolta lei gli taglia le basette e i baffi con le forbicine dei gattini.
Gli appuntamenti continuano per molti mesi, ma nonostante l’impegno di Saretta ad adoperare forbicine sempre più minuscole, infine Pompeo rimane pelato e si accommiata per sempre.
Allora Saretta non sente più lo squillo del campanello, dimentica di aprire la porticina e aspetta senza speranza tra i fiori del balcone.
Trascorre i giorni immersa nei pensieri che girano su se stessi come ballerine, ma le azalee e le begonie cantano sempre, e i narcisi e i tulipani iniziano a raccontarle storielle, come un tempo facevano con i clienti.
In fondo – pensa Saretta, a un certo punto – quella dell’uomo alto e grande che si chiama Pompeo, è una storiella bella – e siccome non ha nessuno cui raccontarla, prende svelta carta e penna.
Tanto la storia corre veloce nella testa, tanto la scrittura non vuol partire mai. La sferetta d’inchiostro non la guida sulla pagina, soffre di paralisi intermittenti, arranca come un somaro zoppo e il bianco del foglio ha la meglio.
Saretta sta per strappare la pagina, quando di colpo ne prorompe un fantasma candido, che si crede un magnete di parole, e imperioso le dice:
Mettiti lì. Non muoverti.
Ti è piaciuto il mio racconto rosa?
Grazie di aver letto fin qui.
Spero che ti abbia almeno strappato un sorriso.
Ho iniziato a scrivere senza un programma preciso, aggrappandomi alle parole come ad appigli casuali. Alla fine ha preso forma una storiella che si fa beffe del blocco della scrittrice.
Che cosa ne pensi?
Tu come superi la paura della pagina bianca?
Scrivimelo nei commenti oppure leggi un’altra bizzarra storia d’amore.