Quando parliamo di autobiografia, il significato cui facciamo riferimento spalanca le porte di un vasto mondo di caratteristiche diverse e molteplici esempi. L’etimologia della parola già dice molto: deriva dal greco, in particolare dai vocaboli αὐτός, βίος e γραϕία, che insieme stanno a significare “scrittura della propria vita”, cioè “scrittura della storia della propria vita”.
L’autobiografia appartiene all’universo della letteratura e costituisce un genere letterario che può declinarsi in forme anche molto differenti tra loro. In questa pagina, raccontiamo che cosa si intende con autobiografia, ne diamo una definizione, accenniamo alla sua storia ed elenchiamo alcuni esempi classici.
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- Che cos’è un’autobiografia
- Autobiografia: la definizione più nota
- Lo sdoppiamento caratteristico della narrazione autobiografica
- Le forme dell’autobiografia
- Altre forme dell’autobiografia
- Il testo autobiografico, la verità, la finzione
- L’autofiction: il testo “metabiografico”
- Come e quando nasce il genere dell’autobiografia
- Dall’autobiografia premoderna all’autobiografia di oggi
- La Vita di Antonio Genovesi del 1755-56
- Eccellenze letterarie
- Un caso editoriale degli ultimi anni
- Lo stile nei testi autobiografici
- Autobiografia, esempi di scelte stilistiche
- Tecniche narrative nelle autobiografie
Che cos’è un’autobiografia
La letteratura si fa, senza saper mai bene che cos’è. Se, invece, si fa il genere, bisogna aver le idee chiare. Sappiamo definire la parte, non sappiamo definire l’intero cui appartiene: è un paradosso. Un’autobiografia è una parte, così possiamo star tranquilli, finché rimaniamo nei confini delle definizioni.
Dunque, che cosa si intende con autobiografia? Che tipo di testo è?
Innanzitutto, occorre chiarire che l’autobiografia è – per così dire – “una parte della letteratura”, nel senso che è un genere letterario. La sua specificità è che, di solito, prevede la coincidenza tra autore, voce narrante e protagonista della storia. L’autobiografia è un testo riflessivo in cui chi scrive punta il riflettore su di sé, racconta la propria vita.
Autobiografia: la definizione più nota
Nell’ambito della teoria della letteratura, la definizione più nota di autobiografia si deve a Philippe Lejeune, che la formula così nel saggio Il patto autobiografico:
«racconto retrospettivo in prosa che un individuo reale fa della propria esistenza, quando mette l’accento sulla sua vita individuale, in particolare sulla storia della propria personalità».
Insomma, per fare un’autobiografia oggi, ci vogliono un uomo o una donna, vivi e vegeti, che si inchiodano alla scrivania o al tavolo di cucina, verosimilmente davanti a schermo e tastiera, e con polpastrelli lesti scrivono i fatti loro.
Lo sdoppiamento caratteristico della narrazione autobiografica
La narratologia individua come caratteristica principale delle autobiografie il tipico sdoppiamento dell’io che si manifesta nel racconto: da una parte c’è la voce dell’autore che racconta nel presente, dall’altra c’è il suo sé che è oggetto della narrazione nelle vicende del passato.
Le due figure possono essere strettamente collegate nello sviluppo della storia: un episodio del passato, che riguarda quindi il proprio sé che era, e adesso non è più, può influire sul successivo dipanarsi del vissuto, fino alla costituzione del sé presente.
Antesignano dell’autobiografia moderna, Jean-Jacques Rousseau nelle Confessioni racconta, per esempio, un episodio della sua infanzia – una punizione inflitta dalla bella istitutrice trentenne – e lo ricollega a desideri, gusti e passioni che maturò nel tempo.
Le forme dell’autobiografia
È vero, nell’autobiografia, chi scrive, scrive di sé, dei fatti più importanti della sua esistenza, del senso che le hanno dato, o che le ha attribuito il suo sguardo. Ma non c’è un unico modo di scrivere un testo autobiografico. Esistono diverse impostazioni che possono fare da impalcatura per il racconto del proprio vissuto, delle proprie esperienze.
La forma più classica dell’autobiografia adotta l’ordine cronologico degli eventi su cui viene focalizzata l’attenzione. Il memoir, al contrario, ha come fondamenta le emozioni: sono loro a far da appigli nella progressione della storia. La narrazione può anche essere organizzata in forma di diario oppure trasformarsi in romanzo autobiografico.
Le diverse forme dell’autobiografia non sono alternative equivalenti. Infatti, ciascuna permette un certo grado di libertà narrativa e dà un taglio ben preciso al fluire del racconto.
Altre forme dell’autobiografia
Quasi cento anni fa, nel 1930, alla voce “autobiografia”, nell’Enciclopedia italiana Treccani, Carlo Calcaterra riportava un nutrito armamentario di forme che il racconto di sé può assumere:
- epigrafe;
- confessione;
- raccolta di memorie;
- lirica;
- apologo;
- soliloquio;
- commentario;
- ritratto.
Il testo autobiografico, la verità, la finzione
Ma un libro autobiografico deve raccontare solo la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità?
La distinzione tra autobiografia e romanzo si regge su un equilibrio precario. Vive a ridosso di un confine sfuggente, indefinito e indefinibile, una linea sottile che svanisce in un soffio che spariglia tutte le carte in tavola.
Il testo autobiografico è potenzialmente una commistione di vero e falso, resoconto e invenzione. Del resto, ogni ricordo è rielaborato dalla memoria, filtrato da punti di vista, credenze, sentimenti, emozioni, confinato all’impossibilità di avere una visione complessiva del reale.
Omissioni e manipolazioni sono più o meno consapevoli, ma rappresentano la consuetudine di tutto ciò che raccontiamo, anche nella semplice quotidianità.
Per esempio, l’episodio dell’amore che non può realizzarsi nelle due versioni dell’autobiografia di Antonio Genovesi ha due finali differenti: nel primo caso, è il protagonista, l’io del passato, ad allontanarsi volontariamente dall’amata; nel secondo, è il padre di lui a costringerlo a partire.
L’autofiction: il testo “metabiografico”
L’intreccio e, per così dire, l’osmosi, tra fatti e invenzione, è alla base di un genere letterario che discende dall’autobiografia e nasce e fiorisce nella nostra contemporaneità: l’autofiction. Il protagonista della storia ha lo stesso nome dell’autore, o dell’autrice. Le vicende sono raccontate con un chiaro intento di analisi introspettiva, adottando tecniche della narrazione romanzesca, mettendo a tema l’interscambiabilità tra invenzione e realtà.
Il termine “autofiction” compare per la prima volta nel 1977 per opera dello scrittore Serge Doubrovisky che lo usa in riferimento al suo romanzo Fils. Questo genere letterario ebbe grande diffusione in Francia, ma iniziò a declinare dopo il 2010, quando prese piede l’esofiction, cioè il resoconto delle vite di personaggi terzi fatto attraverso modalità tipiche della narrativa.
L’autofiction è stata anche definita come “testo metabiografico”, con riferimento all’espressione anglosassone “metafiction”. Tra gli autori che l’hanno declinata felicemente nella propria produzione letteraria, ci sono Philip Roth, Michel Houellebecq e, in Italia, Walter Siti, con romanzi come Scuola di nudo e Troppi paradisi.
Come e quando nasce il genere dell’autobiografia
La parola “autobiografia” compare per la prima volta negli anni della pubblicazione postuma delle Confessioni di Jean-Jacques Rousseau, tra il 1782 e il 1789. Ma i primi esempi di racconto della propria storia individuale sono molto più antichi: al X secolo a. C. risale Le avventure di Sinuhe, un’opera fondamentale della letteratura dell’Antico Egitto, che si ritiene abbia carattere autobiografico, seppur fantasioso.
L’etimologia del termine coniuga diversi elementi: “auto”, il riferimento al sé, dal greco “αὐτός”, “bios”, cioè la vita (βίος), e infine, “grafia”, la scrittura (γραϕία). La nozione di autobiografia che conosciamo oggi compare solo in epoca moderna. Infatti, l’autobiografia premoderna ha caratteristiche del tutto diverse da quelle che ci aspettiamo oggi da un libro autobiografico: è scritta in terza persona secondo uno schema ben preciso che riflette il modello del cursus honorum, cioè “il corso degli studi”.
Dall’autobiografia premoderna all’autobiografia di oggi
Le due versioni di un’opera autobiografica poco nota mettono in luce il passaggio dall’approccio premoderno a quello moderno nella stesura della propria storia individuale: si tratta della Vita di Antonio Genovesi. Redatto in un primo momento verso la fine degli anni Quaranta del XVIII secolo, fu scritto nuovamente tra il 1755 e il 1756.
Antonio Genovesi era un esponente dell’illuminismo meridionale, scrittore e filosofo ispirato dalle idee di David Hume, che in quegli anni, a Napoli, fu insignito della prima cattedra di Economia politica d’Europa.
Quali differenze tra i due testi ci fan drizzar le antenne dell’inchiostrarsi del cambiamento?
La prima versione è ammantata di valenza pedagogica, vuol farsi esemplare nell’elenco puntuale delle opere studiate e nella descrizione minuziosa del metodo di studio: Genovesi racconta in terza persona e cita Svetonio, Sallustio, Tommaso d’Aquino, Melchor Cano, Niccolò di Lira.
La Vita di Antonio Genovesi del 1755-56
Nella Vita che risale al 1755-56, Antonio Genovesi concentra la narrazione sulla sua individualità, sull’esperienza irripetibile del vissuto, soggettiva e particolare. Adotta, dunque, la prima persona, scrive “io”, e abbandona gli intenti di costituzione di un modello, un esempio da seguire. Racconta sì dei suoi studi, ma lo fa senza dimenticare di come i romanzi lo allontanassero dagli studi filosofici, con gran dispetto del padre. Nonostante le proibizioni del genitore, gli si accende e consolida nell’animo l’amore per il Tasso, l’Ariosto, il Petrarca e per Dante.
Eccellenze letterarie
La tradizione della letteratura italiana è ricca di testi autobiografici significativi, che hanno fatto la storia del genere. Dalla più antica alla più recente, un elenco approssimativo di opere interessanti e rappresentative potrebbe essere questo:
- Vita di Benvenuto Cellini;
- Vita scritta da esso di Vittorio Alfieri;
- Memorie scritte da lui medesimo di Giacomo Casanova;
- Ricordanze della mia vita di Luigi Settembrini;
- Una donna di Sibilla Aleramo;
- Faville del maglio di Gabriele D’Annunzio;
- Contributo alla critica di me stesso di Benedetto Croce;
- Le quattro ragazze Wieselberger di Fausta Cialente.
Alcuni tra questi sono molto studiati, come le memorie romanzate di Casanova, il testo patriottico di Settembrini e le memorie di D’Annunzio. Altri lo sono meno e rientrano nella categoria dei romanzi autobiografici, come per esempio il libro di Fausta Cialente.
Un caso editoriale degli ultimi anni
L’autobiografia Open di André Agassi è stata un caso editoriale degli ultimi anni. Introduce un elemento di novità: sebbene sugli scaffali delle librerie compaia con il nome del tennista, il testo in realtà è stato scritto da un’altra persona, J. R. Moehringer.
Scrittore e premio Pulitzer per il giornalismo nel 2000, Moehringer ha prestato la sua penna alla personalità e alla storia di Agassi. Ha svolto, quindi, l’attività di ghostwriter, lo “scrittore fantasma” che “traduce in libro” quello che un’altra persona – sia un personaggio pubblico o meno – vorrebbe raccontare nero su bianco.
L’introduzione di una terza figura tra la narrazione delle intime vicende dell’io del passato, tra fatti ed emozioni, e l’io del presente cambia ulteriormente lo statuto, per così dire, dell’autobiografia: il genere letterario dei racconti autobiografici fa posto a un intermediario tra l’individuo che vuole raccontarsi e il racconto compiuto, prima in digitale e poi su carta.
Lo stile nei testi autobiografici
Ecco che è arrivato il momento di pensare alla tavolozza dei colori. Lo stile è come un insieme di tonalità da accostare sulla tela per ottenere un effetto di armonia o disarmonia, serenità o angoscia, ariosità o cupezza. In questo senso, lo stile di un’opera autobiografica dipende dagli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere scrivendola. Chi scrive per sé può sbizzarrirsi liberamente tra registri stilistici diversi che di volta in volta rispondono meglio all’istanza del momento. Chi scrive anche solo per una cerchia ristretta di persone, deve far i conti con le aspettative del suo pubblico. Per “farsi leggere”, il racconto dovrà presentare un registro stilistico omogeneo e coerente con i contenuti.
Autobiografia, esempi di scelte stilistiche
In quali aspetti si manifesta lo stile in un libro autobiografico? Un primo elemento importante è la persona in cui i fatti sono raccontati. Un’autobiografia è di solito scritta in prima persona. Così, ogni scelta stilistica conseguente potrebbe rispecchiare la personalità del narratore-protagonista. D’altra parte, è possibile scrivere di sé anche in seconda o in terza persona. I due casi, molto differenti tra loro, suggeriscono possibilità molto ampie nella scelta del registro narrativo. Per esempio, la seconda persona è un ottimo strumento per veicolare sentimenti negativi: rabbia, rivendicazioni, accuse.
Tecniche narrative nelle autobiografie
Come lo stile è un grande territorio da esplorare, dove scegliere i tesori che fanno per sé, allo stesso modo le tecniche narrative costituiscono un armamentario vastissimo. Le sue cartucce sono a disposizione tanto del romanziere quanto dell’autobiografo. Tra queste, ne è un esempio classico il flashback, un salto indietro nel tempo che dà movimento al testo, accende la curiosità, gioca sulla sospensione, crea un vero e proprio “montaggio” all’interno della narrazione. Le digressioni tematiche sono un’ulteriore possibile frammentazione del flusso dei fatti che permette di fare un’immersione in profondità, per sviscerare un argomento specifico, o sentimenti, emozioni, relazioni…